lunedรฌ 28 Aprile 2025

Nel 2025 il nostro Pil รจ destinato a sfiorare i 2.244 miliardi di euro. Questo implica che produciamo poco piรน di 6 miliardi di euro di reddito al giorno. Includendo anche i bambini e gli anziani, lโ€™importo pro capite giornaliero medio nazionale ammonta a 104 euro (vedi Tab. 1).

CGIA: tra feste e ponti si lavora al rallentatore, fabbriche, magazzini e uffici semi vuoti

A livello provinciale il contributo per abitante piรน elevato โ€œgiungeโ€ da Milano con 184,9 euro. Seguono Bolzano con 154,1, Bologna con 127,6, Roma con 122 e Modena con 121,3. In coda alla classifica nazionale, invece, troviamo la provincia di Sud Sardegna con 50,8 euro, Cosenza con 50,7 e, infine, Barletta-Andria-Trani con 50,6 (vedi Tab. 2).

A dirlo รจ unโ€™elaborazione realizzata dallโ€™Ufficio studi della CGIA su dati Prometeia e Istat.

โ€ข Rispetto al 2024 lavoriamo 2 giorni in meno: โ€œcostoโ€ 12 miliardi. Pari ai danni provocati dai dazi di Trump

Questโ€™anno lavoreremo 251 giorni, due in meno rispetto al 2024 che, comunque, era un anno bisesto. In termini di Pil, questo ci โ€œcosterร โ€, in linea teorica, 12 miliardi di euro. Un impatto economico equivalente a quello che potremmo subire dallโ€™eventuale introduzione dei dazi da parte dellโ€™amministrazione Trump. Comunque sia, a livello europeo siamo annoverati tra i piรน stakanovisti: secondo lโ€™OCSE1 , infatti, solo la Grecia (1.897), la Polonia (1.803), la Repubblica Ceca (1.766) e lโ€™Estonia (1.742) registrano un numero di ore lavorate per occupato allโ€™anno superiore al nostro che, segnaliamo, รจ pari a 1.734. In Francia sono 1.500 ore per occupato e in Germania 1.343. Un dato, quello italiano, che va interpretato con attenzione: ricordiamo, infatti, che contiamo uno stock di ore lavorate molto elevato ascrivibile, in particolare, a un tasso di occupazione tra i piรน bassi di tutta UE.

 

โ€ข Con una settimana di lavoro in piรน, guadagneremmo un punto di Pil

Nei 20 giorni circa che questโ€™anno intercorrono tra lโ€™inizio delle festivitร  pasquali e la fine del ponte del 1ยฐ maggio, tante fabbriche, altrettanti magazzini, negozi e uffici si sono svuotati, continuando lโ€™attivitร  al rallentatore. Sicuramente negli alberghi, nei ristoranti e nelle realtร  aziendali legate al settore turistico si lavora a pieno regime, ma nei comparti manifatturieri e nei servizi si denota una decisa flessione della produttivitร . Segnaliamo, inoltre, che non sono pochi i dipendenti che hanno deciso di concentrare una parte delle ferie proprio in queste settimane, contribuendo a โ€œsguarnireโ€ gli organici nei comparti in cui operano, in particolare nellโ€™industria. Intendiamoci, nessuno di noi vorrebbe accorpare o, peggio ancora, cancellare alcune feste comandate o impedire agli operai e agli impiegati di prendersi qualche giorno di vacanza durante i ponti, ci mancherebbe. Tuttavia, il problema sussiste ed ha delle implicazioni sulla produzione della ricchezza del nostro Paese non trascurabile. Un problema che il legislatore ha cominciato ad affrontare addirittura nel 1977, quando lโ€™allora governo Andreotti III decise di cancellare alcune feste religiose, come lโ€™Epifania2 , San Giuseppe, lโ€™Ascensione, il Corpus Domini, San Giovanni e Paolo, San Francesco, etc. Piรน recentemente, lโ€™esecutivo di Silvio Berlusconi nel 2004, poi in quello del 2011 e successivamente anche quello guidato dal prof. Mario Monti cercarono di mettere mano alla situazione senza riuscirci. La CGIA stima che se tra feste e giorni pre-festivi fossimo in grado di recuperare una settimana di lavoro allโ€™anno, guadagneremmo un punto di Pil che, in termini assoluti, ammonterebbe a circa 22 miliardi di euro.

 

โ€ข Milano, Bolzano e Bologna le aree piรน ricche

Come dicevamo piรน sopra, le previsioni 2025 ci dicono che lโ€™area provinciale con il valore aggiunto3 per abitante al giorno piรน elevato รจ Milano. Nella Cittร  Metropolitana meneghina lโ€™importo corrisponde a 184,9 euro. Seguono Bolzano con 154,1, Bologna con 127,6, Roma con 122 e Modena con 121,3, Aosta con 120,4, Firenze con 119,8, Trento con 119,5, Parma con 115,4 e Reggio Emilia con 113,7. Nella parte bassa della classifica, invece, scorgiamo Enna con un valore aggiunto pro capite di 53,5 euro per abitante, Agrigento con 52,8, Vibo Valentia con 51,5, Sud Sardegna con 50,8, Cosenza con 50,7 e, infine, BarlettaAndria-Trani con 50,6 (vedi Tab. 2). A livello regionale, infine, la realtร  piรน ricca รจ il Trentino Alto Adige con un Pil per abitante giornaliero di 152,8 euro. Seguono i residenti della Lombardia con 140,8, quelli della Valle dโ€™Aosta con 134,5, quelli dellโ€™Emilia Romagna con 123,8 e del Lazio con 121,3 (vedi Tab. 3).

 

โ€ข Tredici province su 20 sono collocate a Nordest

Al netto della Cittร  Metropolitana di Milano che, ricorda la CGIA, conta oltre 3,2 milioni di abitanti ed รจ considerata la piรน importante area industriale e finanziaria del Paese, nelle prime 20 posizioni della classifica nazionale solo quattro province sono ubicate a Nordovest (Aosta, Genova, Brescia e Bergamo), mentre ben 13 sono collocate a Nordest (Bolzano, Bologna, Modena, Trento, Parma, Reggio Emilia, Vicenza, Trieste, Padova, Verona, Treviso, Belluno e Piacenza). Anche questa graduatoria dimostra come le realtร  geografiche dove la presenza delle Pmi รจ piรน diffusa, sono anche le aree piรน virtuose dal punto di vista economico.

 

โ€ข Non abbiamo piรน le grandi imprese

Lโ€™Italia รจ un Paese che rispetto ad un tempo non dispone piรน di grandissime imprese e fatica ad attrarre nel proprio territorio le multinazionali straniere. Con un deficit infrastrutturale molto diffuso soprattutto nel Mezzogiorno, una giustizia civile lenta e impacciata, una Pubblica Amministrazione che registra tempi di pagamento tra i piรน lunghi di tutta UE e con un carico fiscale e burocratico da record, fare impresa in Italia รจ molto difficile, quasi proibitivo. Non per le nostre Pmi: nonostante tutti questi ostacoli continuano a ottenere risultati economici e occupazionali straordinari. Certo, i limiti di questo sistema produttivo sono noti a tutti. Sono realtร  spesso composte da micro e Pmi ad alta intensitร  di lavoro che, mediamente, registrano livelli di produttivitร  non elevatissimi, erogano retribuzioni piรน contenute delle aziende di dimensioni superiori – condizionando cosรฌ lโ€™entitร  dei consumi โ€“ e presentano livelli di investimenti in ricerca /sviluppo inferiori a quelli in capo alle grandi realtร  produttive.

 

 

 

โ€ข Fino ai primi anni โ€™80, perรฒ, eravamo leader.

Ora lo siamo grazie alle Pmi Al netto dellโ€™inflazione, in questi ultimi 35 anni le retribuzioni medie degli italiani sono rimaste al palo, mentre in quasi tutta UE sono aumentate. Tra le cause del risultato italiano sono da annoverare la crescita economica asfittica e un basso livello di produttivitร  del lavoro che dal 1990 hanno interessato il nostro Paese, soprattutto nel settore dei servizi. Una delle ragioni di questo risultato va ricercata anche nel fatto che, a differenza dei nostri principali concorrenti europei, in questo ultimo trentennio la competitivitร  del nostro Paese ha risentito dellโ€™assenza delle grandi imprese. Queste ultime sono pressochรฉ scomparse, non certo per lโ€™eccessiva numerositร  delle piccole realtร  produttive, ma a causa dellโ€™incapacitร  dei grandi player, spesso di natura pubblica, di reggere la sfida innescata in questi ultimi 35 anni dal cambiamento provocato dalla caduta del muro di Berlino e da โ€œTangentopoliโ€. La CGIA sottolinea che sino agli inizi degli anni โ€™80 del secolo scorso, lโ€™Italia era tra i leader europei – e in molti casi anche mondiali โ€“ nei settori della chimica, della plastica, della gomma, della siderurgia, dellโ€™alluminio, dellโ€™informatica, dellโ€™auto e della farmaceutica4 . Grazie al ruolo e al peso di molti enti pubblici economici (IRI, ENI ed EFIM) e di grandi imprese sia pubbliche che private (Alfa Romeo, Angelini, Enimont, Fiat, Italsider, Montecatini, Montedison, Montefibre, Olivetti, Pirelli, Polymer, Sava/Alumix, etc.), queste realtร  garantivano occupazione, ricerca, sviluppo, innovazione e investimenti produttivi. A distanza di 45 anni, purtroppo, abbiamo perso terreno e leadership in quasi tutti i settori in cui eccellevamo. E ciรฒ รจ avvenuto non a causa di un destino cinico e baro, ma da alcuni avvenimenti che hanno cambiato il corso della storia: la caduta del muro di Berlino, ad esempio, ha riunificato lโ€™Europa, ha riattivato i rapporti commerciali con i Paesi presenti oltre la โ€œcortina di ferroโ€. Successivamente, lโ€™avvento della globalizzazione ha spinto fuori mercato molte delle nostre grandi aziende impiegate nei settori dove eravamo leader. Per il nostro Paese sono stati altrettanto dirompenti gli effetti di โ€œTangentopoliโ€ che tra il 1992 e il 1993 hanno messo a nudo i limiti, in particolare, di molte imprese a partecipazione statale che fino allora erano rimaste attive grazie al mercato protetto in cui operavano e ai sostegni politici che avevano ricevuto dalla quasi totalitร  dei partiti presenti nella cosiddetta โ€œprima Repubblicaโ€. Nonostante ciรฒ, in questi ultimi decenni lโ€™Italia รจ rimasta tra i paesi economicamente piรน avanzati del mondo e questo lo deve quasi esclusivamente alle sue Pmi che, tra le altre cose, grazie alle produzioni โ€œmade in Italyโ€ continuano a โ€œdominareโ€ buona parte dei mercati internazionali.

 

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