domenica 28 Settembre 2025

In attesa che venga ufficializzata la lista dei prodotti esentati dai dazi che scatteranno il prossimo 7 agosto, secondo una stima elaborata dallโ€™Ufficio studi della CGIA, lโ€™applicazione dellโ€™aliquota al 15 per cento decisa domenica scorsa in Scozia tra i presidenti Trump e von der Leyen dovrebbe causare allโ€™Italia un danno, almeno nel breve termine, tra i 14/15 miliardi di euro allโ€™anno. Un importo che, in linea di massima, corrisponde al costo che nei prossimi anni sosterrร  il nostro bilancio statale per realizzare la piรน grande opera pubblica di sempre: vale a dire il ponte sullo Stretto di Messina.

Dazi, Cgia: ci costano quanto il ponte di Messina

Un danno, quello causato dalle politiche protezionistiche statunitensi, che, secondo la stima della CGIA, racchiude sia gli effetti diretti (mancate esportazioni), sia quelli indiretti (riduzione margine di profitto delle imprese che continueranno a vendere nel mercato USA, costo delle misure di sostegno al reddito degli addetti italiani che perderanno il posto di lavoro, trasferimento delle imprese o di una parte delle produzioni verso gli USA, il trade diversion[1], etc.). Oltre a queste due fattispecie รจ stata tenuta in considerazione anche quella congiunturale (legata alla svalutazione del dollaro nei confronti dellโ€™euro.

 

โ€ข Fiduciosi sulla tenuta del โ€œmade in Italyโ€

Sebbene nel 2024 rispetto al 2023 ci sia stata una contrazione delle vendite verso gli USA del 3,6 per cento (in termini monetari pari a -2,4 miliardi di euro), lโ€™Italia ha una forte vocazione allโ€™export verso gli Stati Uniti (lโ€™anno scorso la dimensione economica รจ stata pari a 64,7 miliardi). Tuttavia gli effetti dei dazi al 15 per cento, dovranno โ€œmisurarsiโ€ anche con i seguenti interrogativi:

a) i consumatori e le imprese statunitensi sostituiranno i beni finali e intermedi italiani con quelli autoctoni o di altri Paesi, oppure continueranno ad acquistare prodotti Made in Italy?

b) a seguito delle nuove barriere doganali, le imprese esportatrici italiane riusciranno a non aumentare i prezzi di vendita negli USA, rinunciando a una parte dei margini di profitto?

Sono domande a cui non รจ per nulla facile dare risposte. Tuttavia, la Banca dโ€™Italia ricorda che il 43 per cento delle nostre esportazioni verso gli Stati Uniti sono costituite da prodotti di qualitร  alta e un altro 49 per cento di qualitร  media3 : pertanto il 92 per cento delle nostre merciย  acquistate oltre Oceano sono di alta gamma. Sono prodotti che, verosimilmente, sono destinati a clienti (persone fisiche o imprese) ad elevato reddito che potrebbero rimanere indifferenti ad un aumento del prezzo causato dallโ€™introduzione di nuove barriere doganali.

In merito al secondo interrogativo, invece, i ricercatori di via Nazionale segnalano che il potenziale calo della domanda statunitense legato allโ€™incremento dei prezzi dei prodotti finali potrebbe essere assorbito dalle nostre imprese attraverso una contrazione dei propri margini di profitto. A tal proposito va segnalato che le aziende italiane che esportano negli USA presentano una incidenza delle vendite in questo mercato โ€œsoloโ€ del 5,5 per cento del fatturato totale, mentre il margine operativo lordo4 รจ mediamente pari al 10 per cento dei ricavi.

In altre parole, sono poco esposte verso il mercato statunitense ed una eventuale โ€œchiusuraโ€ di questo mercato inciderebbe relativamente. Inoltre, queste realtร  produttive hanno mediamente buoni margini per ridurre il prezzo finale dei propri beni da vendere negli States, compensando, almeno in parte, gli aumenti provocati dallโ€™introduzione delle barriere doganali.

Ovvio che potrebbero verificarsi delle situazioni molto piรน gravi di quelle appena descritte, se le politiche protezionistiche di Trump dovessero provocare unโ€™ulteriore svalutazione del dollaro, innescando delle contromisure in grado di provocare una caduta della domanda globale e dei mercati finanziari.

 

 

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