Effetto liberalizzazione sulle telecomunicazioni: prezzi giù e più spazio per i nuovi operatori. Dal 2005 ad oggi, il costo dei servizi di connettività a banda larga in Italia è crollato del 45%, un calo significativamente superiore alla media europea, ferma al 20%. L’introduzione di un quadro normativo europeo pro-concorrenziale ha favorito una maggiore apertura del mercato, tradottasi in benefici tangibili per consumatori e imprese. La liberalizzazione del settore, partita negli anni Novanta e consolidata a partire dal 2002 con la regolamentazione dell’accesso alle reti degli ex-monopolisti, ha infatti accelerato l’ingresso di nuove società, stimolando una vera e propria competizione basata sui prezzi.
TLC, Unimpresa: “Dal 2005 ad oggi costo servizi di connettività a banda larga in Italia crollato del 45%”
È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo cui proprio in Italia, l’effetto sul mercato è stato particolarmente marcato: la storica azienda nazionale Tim, ex monopolista del settore, ha visto progressivamente ridursi la sua quota di mercato, passando da livelli di netta dominanza a una presenza molto più contenuta. Nel 2022, secondo i dati analizzati nel documento, la quota di Tim si è attestata al 40%, avvicinandosi alla media europea del 38%. A livello continentale, infatti, gli operatori storici hanno visto diminuire sensibilmente la loro quota media di mercato, dal 60% del 2004 al 38% del 2022, a conferma dell’efficacia delle politiche regolatorie messe in campo dalle autorità europee e nazionali.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha rielaborato dati del Senato, in Europa si è assistito a una chiara tendenza al ribasso dei prezzi dei servizi di banda larga (Broadband), con una riduzione media del 20% tra il 2005 e il 2022. In questo scenario, l’Italia spicca per una performance ancora più marcata: nello stesso periodo, i prezzi sono scesi di circa il 45%, facendo del Paese uno degli esempi più virtuosi nell’ambito europeo in termini di benefici diretti per i consumatori.
Questa dinamica è stata frutto di una regolazione europea basata sull’accesso alle reti dell’operatore storico (Tim nel caso italiano), che ha permesso ai nuovi operatori di entrare nel mercato con costi sostenibili, favorendo così una concorrenza intensa e un conseguente abbassamento dei prezzi finali. Il confronto con altri mercati internazionali rafforza ulteriormente la percezione positiva del modello europeo e italiano in particolare: nel 2022, i prezzi medi europei per le offerte di telefonia fissa e mobile risultano nettamente inferiori rispetto a paesi come Stati Uniti e Giappone, dove la regolazione è differente.
Ad esempio, un utente statunitense paga in media più del doppio rispetto a un consumatore europeo per ogni Gigabyte di dati consumato (3,62 dollari contro 1,59 dollari), e circa tre volte e mezzo di più per servizi di banda larga mobile (34 dollari al mese contro 10 in Europa). Anche nei confronti della Corea del Sud, considerata un punto di riferimento tecnologico a livello globale, l’Unione europea registra prezzi medi più competitivi soprattutto nel segmento convergente, che include sia servizi di connettività fissa che mobile. Un vantaggio competitivo che riflette la capacità del modello europeo di incentivare la concorrenza attraverso un equilibrato intervento regolatorio.
Allo stesso tempo, la forte pressione competitiva sui prezzi non è esente da criticità. La competizione – incentrata prevalentemente sul costo per l’utente finale, pur generando indubbi vantaggi immediati per i consumatori – ha comportato anche una forte compressione dei margini operativi degli operatori, complicando la sostenibilità finanziaria delle aziende del settore telecomunicazioni. Un aspetto non secondario in un momento in cui il mercato richiede investimenti significativi per lo sviluppo delle nuove reti in fibra ottica e delle infrastrutture di nuova generazione.
Ulteriore fattore critico è il divario esistente tra la disponibilità di reti a banda ultra-larga (UBB – Ultra Broadband), già ampiamente sviluppate grazie a ingenti investimenti, anche pubblici, e la relativamente lenta adozione da parte degli utenti finali. Il motivo di questo ritardo, secondo gli esperti, risiede nella limitata disponibilità a pagare da parte dei consumatori per questi servizi ultra-veloci e di ultimissima generazione. Di conseguenza, il rapporto invita i decisori politici a sviluppare politiche industriali specifiche per sostenere l’adozione dei servizi, ad esempio tramite incentivi, voucher e interventi mirati che stimolino una domanda ancora debole, nonostante la crescente disponibilità infrastrutturale.
FERRARA: «BILANCIARE ESIGENZA PREZZI E SOSTENIBILITÀ OPERATORI»
«Il settore delle telecomunicazioni è profondamente mutato dalle politiche regolatorie introdotte negli ultimi vent’anni: più concorrenziale, dinamico, e certamente più conveniente per gli utenti, ma al tempo stesso alle prese con importanti sfide finanziarie e di sostenibilità degli investimenti futuri. Una situazione che richiederà, probabilmente, un ulteriore aggiornamento del quadro normativo a livello europeo, già in corso di discussione attraverso un possibile “Digital Network Act”, volto a garantire che la competitività raggiunta non comprometta la capacità del settore di investire nelle nuove tecnologie. Sarà determinante il ruolo delle autorità regolatrici e dei governi nel bilanciare l’esigenza di prezzi competitivi per i consumatori e quella, non meno importante, di assicurare la sostenibilità economica degli operatori e il costante ammodernamento infrastrutturale del Paese» commenta il presidente di Unimpresa Giovanna Ferrara.
TRENT’ANNI DI INTERVENTI NORMATIVI
Negli ultimi trent’anni, l’Europa ha attraversato due distinte fasi di liberalizzazione nel settore delle telecomunicazioni, ciascuna caratterizzata da strategie regolatorie specifiche con obiettivi diversi.
Nella prima fase, avviata dagli anni Novanta e proseguita fino circa al 2015, la priorità è stata data alla regolazione pro-concorrenziale, finalizzata a eliminare le barriere giuridiche ed economiche che ostacolavano l’ingresso di nuovi operatori sul mercato. In questa fase iniziale, il quadro normativo europeo ha promosso l’accesso regolato alle reti controllate dagli ex monopolisti, noti come incumbent, attraverso meccanismi quali il cosiddetto Unbundling del local loop (Ull), ovvero l’accesso alla rete locale, identificata come “ultimo miglio”.
È stato così introdotto il concetto di “scala degli investimenti”, un modello regolatorio che prevedeva una graduale evoluzione infrastrutturale da parte dei nuovi entranti: questi, inizialmente, accedevano alle reti esistenti a costi regolati, per poi investire progressivamente nella costruzione di proprie infrastrutture, puntando così a una concorrenza sempre più basata su reti proprietarie. Tale approccio ha prodotto risultati parziali: da un lato, ha permesso una forte riduzione delle quote di mercato degli ex-monopolisti, che nell’Unione Europea sono scese mediamente dal 60% del 2005 al 38% nel 2022; dall’altro, però, non è riuscito a spingere la maggior parte dei nuovi operatori oltre il livello dell’accesso disaggregato, rendendo difficile la nascita di reti integralmente alternative a quelle degli incumbent.
La regolazione pro-concorrenziale, pur efficace nella riduzione dei prezzi e nella creazione di dinamiche competitive, ha generato al contempo criticità nella sostenibilità finanziaria del settore. Problematiche divenute particolarmente evidenti con l’avvento della seconda fase della liberalizzazione, a partire dal 2015, incentrata invece sulla necessità di incentivare investimenti consistenti nelle nuove infrastrutture in fibra ottica e reti di nuova generazione, tramite una politica industriale rafforzata da significativi sussidi pubblici.
In tale fase, il quadro normativo europeo ha introdotto strumenti innovativi come il co-investimento e il modello wholesale-only, portando a una profonda revisione delle regole del mercato, culminata nel 2018 con l’adozione del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (Cece). Una fase, quest’ultima, che ha determinato nuove dinamiche di mercato, inclusi modelli di separazione strutturale, come avvenuto in Italia con Tim e FiberCop, delineando così una nuova e complessa sfida regolatoria per i policy-maker europei e nazionali.