domenica 23 Febbraio 2025

Un cittadino italiano che dal 2015 al 2018 ha lavorato in Italia per due diverse società, nel 2018 si è trasferito in Francia e a gennaio 2025 ha intenzione di rientrare in Italia lavorando per la società in cui aveva svolto l’attività per il periodo 2015-2016, potrà fruire del nuovo regime agevolativo sui lavoratori impatriati applicando l’allungamento a 6 anni e non a 7 anni del periodo minimo di pregressa permanenza all’estero. La ratio della norma, infatti, è quella di prevedere un periodo maggiore se con il trasferimento il datore di lavoro non cambia.

È la sintesi della risposta n. 41 del 20 febbraio dell’Agenzia delle entrate.

Nuovo regime “impatriati”, Agenzia Entrate: con lo stesso datore, servono almeno 7 anni all’estero

Il dubbio del contribuente era sorto per il fatto che ritornando a lavorare per la stessa società per cui aveva lavorato in Italia nel 2015 e 2016, il periodo di permanenza all’estero necessario per applicare il regime sugli impatriati diventasse, come indicato dalla normativa, di 7 anni e non di 6.

L’Agenzia – si legge su FiscoOggi – ricorda la norma sul nuovo regime agevolativo (articolo 5 Dlgs n. 209/2023) che prevede un abbattimento del 50% del reddito complessivo, entro il limite di 600mila euro annui per i contribuenti che trasferiscono, dal periodo d’imposta 2024, la loro residenza in Italia.

I lavoratori devono però impegnarsi a risiedere fiscalmente in Italia per almeno 4 anni e non devono essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il loro trasferimento. Se il datore di lavoro italiano è lo stesso di quello estero o appartiene allo stesso gruppo il requisito minimo di permanenza diventa:

  • sei periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore della stessa società per cui ha lavorato all’estero oppure di una appartenente al suo stesso gruppo
  • sette periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore della stessa società o di una appartenente al suo stesso gruppo.

Fra i requisiti inoltre è necessario che il lavoro sia svolto per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato e il lavoratore abbia una qualifica elevata.

Nel caso in esame, rileva l’Agenzia, considerato che il cittadino al rientro in Italia nel 2025 lavorerà per la stessa società per la quale aveva già lavorato in Italia fino al 2016 quindi non immediatamente prima del trasferimento all’estero, in applicazione dei principi sul rimpatrio introdotti dalla norma, la durata minima di residenza all’estero sarà di sei periodi di imposta.

Ciò in quanto, secondo quanto affermato dal contribuente, non c’è coincidenza tra il datore di lavoro (società/gruppo) per il quale è stato impiegato in Italia nel periodo immediatamente precedente il trasferimento all’estero e quello presso il quale inizierà a lavorare dopo il suo rientro in Italia.

 

 

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