Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha partecipato alla tavola rotonda dell’Ambrosetti Club a Roma a Palazzo Rospigliosi. Ecco il suo lungo intervento:
Bankitalia, Visco: “Non condivido allarmi su tassi”
“Le ripercussioni dellโaggressione dellโUcraina da parte della Russia continuano a gravare sullโeconomia globale, che da alcune settimane sta risentendo anche delle conseguenze del nuovo peggioramento della crisi sanitaria in Cina. Nel quarto trimestre dello scorso anno, in particolare, lโattivitร produttiva avrebbe rallentato nei paesi avanzati, riflettendo la generalizzata perdita del potere di acquisto dei redditi dovuta allโinflazione. Anche lโeconomia cinese si sarebbe indebolita, dapprima per le misure di interruzione della produzione imposte in ottobre e in novembre per contenere la diffusione dei contagi da Covid-19; successivamente, lโeffetto positivo dellโallentamento di queste misure potrebbe essere stato piรน che compensato da quello negativo determinato dalla nuova forte ondata di infezioni, riflesso anche di un livello di immunizzazione della popolazione ancora molto basso.ย
Secondo le nostre valutazioni la crescita del commercio internazionale avrebbe frenato nel 2022 (al 5,6 per cento), pur rimanendo su valori elevati nel confronto storico. Le piรน recenti previsioni delle istituzioni internazionali prefigurano una netta decelerazione del prodotto mondiale e del commercio anche per lโanno in corso, nonostante la prevista ripresa in Cina, per effetto dei prezzi ancora alti dellโenergia, della conseguente debolezza del reddito disponibile delle famiglie e dellโintonazione piรน restrittiva delle politiche monetarie nei paesi avanzati.ย
Per lโItalia stimiamo che, nonostante gli effetti fortemente negativi delle tensioni geopolitiche e del conflitto in Ucraina, la crescita del prodotto nel 2022 dovrebbe essere stata prossima al 4 per cento. I livelli precedenti lo scoppio della pandemia sono stati pienamente recuperati (superandoli di quasi due punti alla fine del terzo trimestre) ma, rispetto al picco raggiunto allโinizio del 2008, il prodotto resta ancora inferiore di oltre tre punti percentuali (in termini sia totali sia pro capite).ย
Nellโultimo trimestre dello scorso anno lโattivitร economica si sarebbe indebolita. Essa avrebbe risentito dellโattenuazione della ripresa nel settore dei servizi, specialmente nel commercio, nei trasporti e in quelli legati alle attivitร ricreative Le sfide dellโeconomia italiana nellโattuale contesto europeo Intervento di Ignazio Visco Governatore della Banca dโItalia Ambrosetti club, phygital meeting Palazzo Rospigliosi Roma, 23 gennaio 2023 2 e turistiche โ ripresa che in estate, dopo la fase piรน intensa della crisi sanitaria, era stata particolarmente accentuata.
Vi avrebbe contribuito anche il calo della produzione industriale, in larga parte ascrivibile ai rincari dei prodotti energetici. Dallo scorso luglio i comparti in maggiore flessione risultano infatti quelli con il piรน intenso impiego di input energetici. Nel complesso dei settori non energetici dallโinizio del 2021 lโaumento del costo dellโenergia avrebbe determinato un rialzo dei costi complessivi per unitร di prodotto delle imprese pari a quasi il 7 per cento, di cui circa la metร ascrivibile alla sola energia elettrica.
Nel settore delle costruzioni, che anche grazie agli incentivi pubblici si era ripreso con particolare forza dalla crisi sanitaria, dopo la diminuzione giร segnata nel terzo trimestre lโattivitร starebbe iniziando a risentire della debolezza del mercato immobiliare. Su questโultimo incidono sia il rialzo dei tassi sui mutui sia il protrarsi dellโelevata inflazione, con la conseguente riduzione del potere dโacquisto delle famiglie.ย
Le nostre indagini segnalano che nellโultima parte dello scorso anno i problemi di approvvigionamento di materie prime e di input intermedi, che da diversi trimestri frenano lโattivitร produttiva, hanno registrato una leggera attenuazione. Essi ancora interessano, tuttavia, circa il 30 per cento delle aziende dei servizi e dellโindustria manifatturiera e approssimativamente la metร di quelle delle costruzioni.
Dal lato della domanda, la spesa delle famiglie, cresciuta in misura particolarmente robusta nel secondo e nel terzo trimestre, tanto da riportarsi per la prima volta al di sopra del livello di fine 2019, avrebbe rallentato nellโultima parte dellโanno. Essa avrebbe risentito della debolezza del reddito disponibile in termini reali, nonostante gli interventi governativi volti a calmierare i prezzi energetici e ad attenuarne lโimpatto sul potere dโacquisto delle famiglie, soprattutto per i nuclei meno abbienti, sui quali piรน hanno inciso i rincari dellโenergia e lโaumento del costo dei prodotti alimentari, anchโesso in larga misura conseguenza del conflitto in Ucraina.ย
La dinamica degli investimenti si era indebolita giร nel terzo trimestre, riflettendo la riduzione della spesa per costruzioni a fronte di unโaccelerazione di quella in impianti e macchinari. Secondo nostre valutazioni, corroborate dai dati sul valore dei contratti di leasing, nel quarto trimestre gli investimenti avrebbero ristagnato. Le indagini condotte dalla Banca dโItalia fra novembre e dicembre indicano che le imprese considerano le condizioni per investire ancora poco favorevoli.
Per quanto riguarda lโoccupazione sono aumentate le posizioni lavorative a tempo indeterminato, a seguito delle numerose trasformazioni di contratti temporanei attivati durante il 2021. Dopo essersi stabilizzata nel terzo trimestre sui livelli elevati del periodo precedente, in ottobre e novembre lโoccupazione complessiva sarebbe tornata a salire, sia pure lievemente; le indagini sulle aspettative a breve termine delle imprese confermano il possibile proseguimento della crescita dei posti di lavoro. La dinamica delle retribuzioni resta peraltro moderata, anche per il protrarsi dei processi negoziali in settori, specialmente nei servizi, dove รจ ancora alta la quota di dipendenti in attesa di rinnovo del contratto collettivo. 3
In ottobre e novembre lโinflazione, misurata dallโindice armonizzato dei prezzi al consumo, ha raggiunto un nuovo picco (12,6 per cento), per poi scendere leggermente in dicembre (di 0,3 punti percentuali). Restano straordinariamente elevati i rincari nel settore dellโenergia, dove la crescita sui dodici mesi si colloca al di sopra del 60 per cento, sia per il mercato regolamentato sia per quello โliberoโ. Considerando il complesso degli effetti diretti e indiretti, nella media del quarto trimestre piรน del 70 per cento dellโinflazione generale era riconducibile ai rincari dellโenergia; per lo stesso periodo, valutiamo che le misure governative a favore delle famiglie abbiano mitigato la dinamica dei prezzi al consumo per oltre un punto percentuale.ย
Le proiezioni piรน recenti per lโeconomia italiana presentate nel Bollettino economico della Banca dโItalia appena pubblicato, ancorchรฉ puntuali, continuano ad avere un carattere necessariamente indicativo dato lโattuale contesto di forte incertezza, connessa soprattutto con lโevoluzione del conflitto in Ucraina. La dinamica dei prezzi del gas รจ esemplare sotto questo aspetto: alla vigilia della pandemia il gas era scambiato a poco piรน di 10 euro per megawattora; era salito a 20 euro nel gennaio 2021 e a 50 nellโestate, in seguito alle prime riduzioni dei flussi di gas dalla Russia; con lo scoppio della guerra, le quotazioni hanno prima superato i 200 euro, poi sono scese sotto i 100, sono risalite a 350 in agosto e sono oggi ridiscese attorno ai 60 euro. Insomma, sembra di essere sulle montagne russe, e in queste condizioni non solo รจ difficile fare previsioni macroeconomiche ma anche, per famiglie e imprese, programmi di spesa e di investimento di particolare intensitร . In effetti, in queste condizioni la formulazione di scenari alternativi si posa necessariamente su ipotesi relativamente fragili circa lโevoluzione del conflitto e le sue ripercussioni sui mercati.
Nello scenario di base presentato nel Bollettino economico si รจ ipotizzato che le tensioni associate alla guerra si mantengano ancora elevate nei primi mesi di questโanno, per ridursi gradualmente lungo lโorizzonte di previsione. Nel 2023 il Pil rallenterebbe nettamente, allo 0,6 per cento; la crescita tornerebbe poi a rafforzarsi nel prossimo biennio, grazie allโaccelerazione delle esportazioni e della domanda interna, che beneficerebbe della diminuzione delle pressioni inflazionistiche e dellโincertezza. Lโinflazione, salita oltre lโ8,5 per cento nella media del 2022, scenderebbe di due punti questโanno e piรน decisamente in seguito, portandosi al 2 per cento nel 2025.
In uno scenario particolarmente avverso โ in cui si ipotizzano, oltre alla sospensione permanente delle forniture di materie prime energetiche dalla Russia, un nuovo forte rincaro dellโenergia, una maggiore incertezza, un piรน marcato indebolimento del commercio mondiale e un accentuato irrigidimento delle condizioni di offerta dei finanziamenti โ il prodotto si ridurrebbe di quasi lโ1 per cento sia nel 2023 sia nel 2024 per tornare a ritmi di crescita moderati solo nel 2025. Lโinflazione salirebbe ulteriormente, avvicinandosi al 10 per cento questโanno, ma poi ridiscenderebbe a poco piรน del 4 nel 2024 e a circa il 2 per cento nel 2025, come nella proiezione di base. Questo scenario non tiene conto di possibili nuovi interventi introdotti per mitigare gli effetti di questi eventuali sviluppi congiunturali piรน sfavorevoli, nรฉ dellโimpatto che essi potrebbero avere sul costo del debito.ย
Secondo gli indicatori congiunturali piรน recenti, il Pil dellโarea dellโeuro avrebbe sostanzialmente ristagnato nel quarto trimestre dello scorso anno. In dicembre lโinflazione al consumo รจ stata pari al 9,2 per cento, un livello ancora molto elevato, pur se al di sotto del picco toccato in ottobre. La componente di fondo si รจ invece progressivamente rafforzata, al 5,2 per cento, riflettendo anche il consueto ritardo nella trasmissione della dinamica dei costi dellโenergia sui prezzi finali di beni e servizi.
Secondo le stime puntuali dello scenario di base delle proiezioni degli esperti dellโEurosistema diffuse lo scorso mese la crescita del Pil nel 2023 nel complesso dellโarea รจ stata rivista al ribasso di quasi mezzo punto, allo 0,5 per cento; il prodotto tornerebbe ad accelerare nel 2024, allโ1,9 per cento. Le proiezioni dโinflazione sono state invece riviste al rialzo, al 6,3 per cento nel 2023 e al 3,4 nel 2024, per via di una piรน diffusa e persistente trasmissione ai prezzi al consumo delle pressioni derivanti dai rincari delle materie prime energetiche e dei beni intermedi e di sensibili incrementi salariali (dellโordine del 5 per cento nel 2022 e nel 2023). Le prospettive riguardo allโattivitร economica e la velocitร di riduzione dellโinflazione restano tuttavia molto incerte.
Nonostante queste stime, non vi sono al momento segnali di una intensa spirale tra prezzi e salari. La dinamica retributiva si รจ lievemente accentuata da ottobre, anche per effetto dellโincremento del salario minimo in alcuni paesi, tra cui la Germania, i Paesi Bassi e, per lโindicizzazione automatica ai prezzi, in Francia, nonchรฉ per lโoperare di meccanismi di indicizzazione su tutti i salari in altri paesi, in particolare in Belgio. Nel complesso dellโarea la quota di retribuzioni indicizzate allโinflazione resta contenuta, un fattore che attenua il rischio di pericolosi avvitamenti tra prezzi e salari. In diversi paesi, tuttavia, sembrano esservi, nellโambito delle negoziazioni relative ai rinnovi contrattuali, richieste di aumenti particolarmente elevati, anche per recuperare le perdite di potere dโacquisto per gli aumenti dei prezzi connessi con lo shock energetico.
Le aspettative dโinflazione a breve termine mostrano, peraltro, primi segnali di flessione; quelle sugli orizzonti piรน distanti restano ancorate allโobiettivo di stabilitร dei prezzi, pari al 2 per cento nel medio termine. Negli ultimi mesi i rendimenti dei contratti legati allโinflazione (inflation-linked swaps) hanno registrato un deciso calo sugli orizzonti piรน vicini: su quello a due anni si situano oggi al 2,3 per cento (da circa il 4 allโinizio dello scorso novembre). Sugli orizzonti a piรน lungo termine restano, al netto dei premi per il rischio, su valori in linea con il 2 per cento. Lโancoraggio delle aspettative dโinflazione รจ confermato anche dai risultati dei sondaggi condotti in dicembre presso gli analisti.
Le attese delle famiglie rilevate dallโultima indagine della BCE hanno mostrato un moderato calo su tutti gli orizzonti situandosi al 5 per cento nei prossimi dodici mesi e al 2,9 su un orizzonte di tre anni. Il loro livello, piรน alto rispetto alle attese dei mercati e degli operatori professionali, riflette verosimilmente il peso notevole delle componenti piรน volatili dellโinflazione nel paniere di consumo dei nuclei 5 meno abbienti nonchรฉ una possibile maggiore rilevanza di elementi retrospettivi nella formazione delle aspettative delle famiglie. Le attese delle imprese forniscono indicazioni contrastanti: quelle censite dalla Commissione europea segnalano, sia nellโarea sia in Italia, una riduzione delle aspettative a tre mesi di crescita dei propri prezzi di vendita su livelli che non si registravano dallโottobre 2021; anche le imprese che partecipano ai sondaggi condotti dalla Banca dโItalia hanno nel complesso segnalato previsioni di decelerazione dei propri prezzi di vendita ma attese dโinflazione ancora alte e per un prolungato periodo; รจ presumibile che esse abbiano particolarmente risentito, estrapolandola, dellโinformazione fornita ai partecipanti alla rilevazione degli ultimi dati, molto elevati, relativi allโinflazione corrente.
In questo quadro, lo scorso dicembre il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) ha innalzato i tassi ufficiali di 50 punti base, portando il loro aumento complessivo dallo scorso luglio a 250 punti. Il Consiglio ha inoltre annunciato che essi dovranno ancora salire per favorire il tempestivo ritorno dellโinflazione allโobiettivo di stabilitร dei prezzi e che le decisioni future sui tassi continueranno a essere adottate in base allโevoluzione delle prospettive dโinflazione e di crescita. I tassi di interesse di riferimento della BCE sono oggi lo strumento principale per regolare le condizioni monetarie; lโadeguamento degli altri strumenti serve a garantire che il loro contributo sia coerente con tale orientamento.
Lo scorso ottobre il Consiglio aveva pertanto deciso di rendere meno vantaggioso il costo delle operazioni mirate di rifinanziamento a piรน lungo termine (TLTRO3); in dicembre sono inoltre stati annunciati i criteri in base ai quali si procederร , attraverso un reinvestimento parziale dei titoli in scadenza, a una riduzione misurata e prevedibile delle attivitร detenute nei portafogli di politica monetaria. Dallโinizio del prossimo marzo quello relativo al programma di acquisto di attivitร (APP) diminuirร di 15 miliardi di euro al mese in media sino alla fine del secondo trimestre del 2023; il ritmo successivo sarร definito alla luce degli andamenti della congiuntura e dei mercati. Il reinvestimento dei titoli in scadenza nellโambito del programma per lโemergenza pandemica (PEPP) proseguirร invece pienamente almeno sino alla fine del 2024 e sarร condotto in maniera flessibile per contrastare โ insieme allo strumento di protezione della trasmissione della politica monetaria (TPI) โ gli eventuali rischi di una ingiustificata frammentazione dei mercati finanziari lungo i confini nazionali.ย
La normalizzazione della politica monetaria nellโarea dellโeuro ha giร compiuto passi notevoli. Superati i rischi di deflazione, dopo la crisi finanziaria globale e soprattutto quella dei debiti sovrani nellโarea dellโeuro, e quelli connessi con la pandemia โ che avevano prima richiesto uno straordinario allentamento delle condizioni monetarie con la progressiva riduzione dei tassi ufficiali (fino a portarli in territorio negativo) e poi lโeccezionale incremento del bilancio consolidato dellโEurosistema (fino a quasi 9.000 miliardi, da circa 2.000 nel 2014) il ritorno a una situazione piรน equilibrata di tassi e liquiditร complessiva era scontato. La politica monetaria non poteva piรน essere, in effetti, โthe only game in townโ. Se lโimpatto della pandemia aveva rallentato questo ritorno, anche per lโincertezza presente sui mercati e il ritardo che le aspettative dโinflazione fino ancora allโestate del 2021 mostravano nel riportarsi sui livelli di stabilitร dei prezzi definiti dal Consiglio direttivo (il 2 per cento, โsimmetricoโ, nel 6 medio periodo), da allora in poi la questione ha riguardato le modalitร e il ritmo degli interventi, non la loro direzione.
A seguito, quindi, degli annunci e delle decisioni del Consiglio, dalla fine del 2021 i tassi di interesse (overnight index swaps) a un anno sono aumentati di 3,6 punti percentuali, al 3,2 per cento; quelli a dieci anni di 2,4 punti, al 2,6; in termini reali, utilizzando come deflatore i rendimenti dei contratti legati allโinflazione (inflation-linked swaps), essi sono oggi rispettivamente pari a circa lo 0,8 e lo 0,3 per cento, dai valori estremamente bassi di un anno fa (-4 per cento per i tassi a un anno e -2 per quelli a dieci). Il costo del credito, che riflette con ritardo i rialzi nei tassi di mercato, ha mostrato in media aumenti piรน contenuti: di un punto e mezzo, al 2,8 per cento, per i nuovi prestiti alle famiglie per lโacquisto di abitazioni (3,1 in Italia) e di quasi due punti, al 3,1 per cento, per i nuovi prestiti alle imprese (2,9 in Italia). Per le aziende italiane la capacitร di rimborso dei debiti resta nel complesso buona, in ragione del recupero della redditivitร , della leva finanziaria moderata e delle elevate disponibilitร liquide.
I rischi che derivano dallโinflazione sono significativi. Lโesperienza storica mostra chiaramente che i consumi e gli investimenti beneficiano in modo sostanziale della stabilitร dei prezzi: unโinflazione elevata e volatile complica infatti le decisioni di spesa delle famiglie e delle imprese; riduce il valore della moneta e dei risparmi; puรฒ comportare ingiustificate redistribuzioni di risorse tra le persone che tendono a colpire piรน duramente le frange piรน vulnerabili e piรน povere della popolazione; limita la capacitร dellโeconomia di crescere e di creare posti di lavoro e benessere.
Questo spiega perchรฉ lโazione della politica monetaria non puรฒ che proseguire nella direzione intrapresa. Serve tuttavia che la normalizzazione proceda con la necessaria gradualitร , tenendo conto che, come ho osservato, le aspettative dโinflazione a medio-lungo termine sono ancorate e non si intravedono segnali di spirali tra prezzi e salari, sebbene lโattesa accelerazione di questi ultimi debba essere attentamente monitorata. Gli allarmi che a volte vengono sollevati sugli effetti che ulteriori aumenti dei tassi ufficiali potrebbero avere sulla nostra economia non sono condivisibili: il nostro paese รจ in grado, proseguendo sulla strada giร intrapresa delle politiche prudenti e delle riforme, di gestire le conseguenze di una graduale ma necessaria restrizione monetaria (un punto, questo, sul quale tornerรฒ a parlare con maggiore dettaglio nellโambito del mio intervento allโASSIOM-FOREX, la prossima settimana). I tassi di interesse cui guardare non sono infatti quelli nominali, sui quali nel breve periodo, pur attenuata, non puรฒ non riflettersi la dinamica inflazionistica, bensรฌ quelli reali, al netto dellโinflazione attesa, che ancora segnalano condizioni nel medio periodo di sostanziale equilibrio.ย
Non condivido, allo stesso tempo, talune dichiarazioni nelle quali si sostiene che nellโarea dellโeuro solo una recessione, piรน o meno profonda, consentirร di riportare lโinflazione in linea con il nostro obiettivo di prezzi stabili. Ritengo invece del tutto possibile che, come sta avvenendo in altri paesi e come รจ peraltro in linea con le nostre previsioni, la crescita dei prezzi, che giร mostra segnali di discesa, possa tornare al 2 per cento senza che le nostre misure arrechino allโattivitร produttiva 7 e allโoccupazione danni particolarmente gravi, che finirebbero per rendere piรน difficile il conseguimento del nostro mandato nel medio periodo. Quindi, sรฌ, ulteriori aumenti dei tassi sono nelle cose, ma continueranno a essere necessarie valutazioni attente e consapevoli dellโintensitร e dei tempi della loro trasmissione a tutte le economie dellโarea dellโeuro, tenendo conto dellโevoluzione, in entrambe le direzioni, dei fattori alla base della dinamica inflazionistica: dai costi delle materie prime a quelli del lavoro, dallโevoluzione della domanda interna e internazionale a quella dei margini di profitto, dagli andamenti delle attivitร finanziarie a quelli dei debiti pubblici e privati.
Vi รจ ancora, come ho detto, molta incertezza sul fronte del conflitto in Ucraina e delle tensioni geopolitiche. La stessa recente riduzione del prezzo del gas, di dimensione altrettanto ampia e inattesa quanto straordinariamente ampio e inatteso, ancorchรฉ estremamente volatile, era stato lโaumento registrato nel corso dellโanno passato, va presa con un forte beneficio dโinventario, e lโalto livello di scorte conseguito in questi mesi dai paesi dellโarea non sembra essere una salvaguardia sufficiente a garantire la sicurezza dellโapprovvigionamento a distanza di qualche trimestre. Abbiamo visto come il rincaro dellโenergia abbia finito per riflettersi in un aumento progressivo, ancora in atto, dellโinflazione di fondo, al netto cioรจ delle componenti piรน volatili quali gli stessi prodotti energetici e quelli alimentari, anchโessi influenzati dal conflitto. ร presumibile che se il costo dellโenergia non risalirร in modo sensibile anche lโinflazione di fondo si ridurrร in un periodo non troppo lungo riflettendone la recente forte discesa. Ma รจ necessario che le aspettative restino saldamente ancorate.
Anche se la direzione di marcia non puรฒ che essere quindi quella intrapresa โ tenuto conto delle condizioni iniziali e a prescindere da sterili discussioni sul livello, naturale o neutrale, dei tassi ufficiali โ le decisioni sul ritmo e sullโentitร complessiva della normalizzazione della politica monetaria dovranno continuare a bilanciare due rischi. Se, infatti, lโinflazione registrata finora si radicasse nelle aspettative e nei processi di fissazione dei salari, il conseguimento dellโobiettivo di stabilitร dei prezzi richiederebbe una piรน decisa risposta della politica monetaria, con ripercussioni negative piรน marcate sullโattivitร economica. Se, invece, il ritmo e lโentitร della normalizzazione della politica monetaria fossero sproporzionati o il loro annuncio male interpretato, lโinasprimento delle condizioni di finanziamento potrebbe risultare piรน forte del necessario e la reazione di famiglie, imprese e operatori di mercato eccessiva, con rischi per la stabilitร finanziaria, lโattivitร economica e, in ultima analisi, la stessa dinamica dei prezzi nel medio termine.
Vi รจ dibattito sulla relativa ampiezza di questi due rischi. Valutazioni di natura probabilistica โ evidentemente, in un contesto di elevata incertezza come quello attuale, in larga parte soggettive โ sono oggi particolarmente ardue. Io sono portato ad assegnare a entrambi i rischi analogo peso; non vedo, cioรจ, perchรฉ bisognerebbe privilegiare un possibile errore di valutazione nellโuna o nellโaltra direzione. In altre parole, non sono convinto che sia oggi meglio rischiare di restringere troppo anzichรฉ troppo poco. Nel valutare intensitร e tempi della trasmissione monetaria, la strada migliore per evitare errori in entrambe le direzioni รจ quella di un approccio prudente che tenga di volta in volta conto di tutti gli elementi a disposizione per individuare 8 il passo piรน appropriato da compiere. Ritengo che considerare oggi alla stessa stregua, i due rischi sia in linea con lโobiettivo di stabilitร dei prezzi โ simmetrico, verso lโalto come verso il basso โ che dobbiamo conseguire per rispettare il nostro mandato.
Al riguardo รจ anche importante sottolineare come la stabilitร dei prezzi non dipenda esclusivamente dalla politica monetaria. Lo shock energetico ha infatti causato un mutamento delle ragioni di scambio, una โtassaโ sulle economie dellโarea che non รจ possibile rinviare al mittente e che non puรฒ essere eliminata attraverso vane rincorse tra prezzi e salari, alle quali la politica monetaria reagirebbe prontamente, nรฉ attraverso eccessivi e permanenti incrementi del debito pubblico.ย
La stabilitร dei prezzi richiede anche che in tutti i paesi โ e in particolare in quelli in cui il debito pubblico รจ giร particolarmente elevato โ i conti dello Stato siano tenuti sotto controllo. Le politiche di bilancio possono certamente contribuire, con interventi temporanei e mirati, ad alleviare gli effetti dellโinflazione sulle fasce della popolazione piรน deboli, ma ciรฒ dovrebbe avvenire attraverso una redistribuzione tra percettori di reddito, contenendo il peso dellโaggiustamento sulle future generazioni. Ciรฒ รจ essenziale sia per evitare un surriscaldamento della domanda e un piรน lento rientro dellโinflazione sia per prevenire i rischi per la stabilitร finanziaria connessi con percezioni, anche se non interamente condivisibili nella sostanza, riguardo alla sostenibilitร delle finanze pubbliche.ย
Dopo lโaumento di 20 punti percentuali nel 2020, al 155 per cento, del rapporto tra debito e Pil conseguente agli effetti della pandemia e alle misure introdotte per alleviarne gli effetti, ne abbiamo osservato una, non pienamente prevista, decisa discesa nel 2021 intorno al 150 per cento. Un ulteriore calo di dimensione analoga รจ atteso per il 2022 e lโobiettivo di proseguire lungo questa tendenza puรฒ senzโaltro essere perseguito. Le recenti misure del Governo, improntate alla prudenza, hanno contribuito al contenimento del differenziale di rendimento rispetto ai titoli di Stato decennali della Germania che oggi si situa attorno ai 180 punti base, un valore che resta comunque ancora di gran lunga superiore a quanto da noi stimato sulla base dei fondamentali della nostra economia. Da un lato, i rialzi dei tassi ufficiali costituiscono una difficoltร al momento certamente gestibile per le finanze pubbliche: grazie alla sua elevata vita media residua il costo medio del debito aumenta in modo contenuto e graduale e il rapporto tra debito e prodotto beneficia immediatamente della piรน alta crescita di questโultimo in termini nominali. Dallโaltro lato, mantenere conti pubblici in ordine e, quindi, disavanzi ridotti e decrescenti nel tempo รจ cruciale per evitare tensioni finanziarie che, attraverso un aumento degli spread, potrebbero riflettersi in ulteriori, eccessivi, rialzi dei tassi di interesse che peserebbero anche sui finanziamenti di famiglie e imprese, con effetti negativi sugli investimenti.
Questโultimo scenario va evitato perchรฉ il Paese ha necessitร di un prolungato periodo di espansione sostenuta degli investimenti, sia pubblici sia, soprattutto, 9 privati. Investire รจ essenziale per scongiurare il rischio che la crescita in Italia torni a stabilizzarsi sui bassi livelli registrati negli ultimi ventโanni. Gli investimenti pubblici e privati che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) dovrebbe consentire di realizzare sono una occasione importante, da non mancare. Il PNRR offre unโopportunitร unica per colmare i ritardi nelle infrastrutture materiali e immateriali, migliorare il sistema di istruzione, aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo, e quelli nelle nuove tecnologie; tutti fattori chiave per una crescita sostenuta della produttivitร in una moderna economia della conoscenza.
Il sistema produttivo italiano ha affrontato la crisi economica provocata dalla pandemia meglio di quanto non fosse accaduto durante la crisi finanziaria globale e la crisi dei debiti sovrani. Dopo quelle crisi le imprese piรน fragili erano uscite dal mercato e una progressiva riallocazione delle risorse produttive, ancorchรฉ in ritardo e ancora parziale, aveva avuto luogo. Anche grazie allโespansione di aziende piรน competitive e con strutture finanziarie piรน solide, soprattutto nel settore manifatturiero, la ristrutturazione ha permesso al sistema produttivo italiano di affrontare la pandemia da una posizione finanziariamente piรน solida, premessa per il forte rimbalzo dellโeconomia che abbiamo registrato nellโultimo biennio.ย
I livelli di indebitamento delle nostre imprese sono bassi nel confronto internazionale. Il loro debito finanziario si situa intorno al 70 per cento del Pil, di oltre 10 punti inferiore rispetto a dieci anni fa. In un confronto internazionale esso si colloca molto in basso tra le economie avanzate, in linea con il livello tedesco e notevolmente al di sotto di quello francese e della media dellโarea euro (rispettivamente pari al 165 e al 110 per cento del Pil). La soliditร finanziaria delle imprese si accompagna a quella delle famiglie il cui indebitamento finanziario รจ di poco superiore al 60 per cento del loro reddito disponibile e al 40 per cento del Pil, contro quasi il 100 e il 60 per cento nella media dellโarea dellโeuro.ย
LโItalia non manca di eccellenze imprenditoriali: la produttivitร delle imprese italiane di medie e grandi dimensioni e la loro capacitร di raggiungere i mercati internazionali sono paragonabili a quelle delle imprese francesi e tedesche di dimensioni simili. Il Paese puรฒ inoltre contare su una quota crescente di aziende dinamiche e innovative, che hanno contribuito al miglioramento della competitivitร e al ritorno in attivo della posizione netta sullโestero che dieci anni fa era negativa per oltre 20 punti percentuali di Pil e, dopo aver raggiunto un picco dellโ8 per cento a fine 2021, lo scorso giugno era ancora intorno al 6 per cento nonostante lโeccezionale rincaro delle importazioni di energia. Il motore principale di questa tendenza รจ stata la crescita sostenuta dellโavanzo delle partite correnti, a sua volta determinato dal progressivo ampliamento dellโavanzo negli scambi di beni e servizi.
Restano, tuttavia, debolezze di rilievo. Le quote di occupazione e valore aggiunto delle medie e grandi imprese sono ancora troppo basse. In particolare, le imprese con piรน di 250 addetti โ che in media dispongono di migliori risorse manageriali e di una maggiore capacitร di sostenere i costi dellโinnovazione e di adattarsi alla transizione verde โ rappresentano meno di un quarto degli occupati, circa la metร del dato di Francia e Germania. 10
Rimane estremamente elevato il numero di microimprese con modesti livelli di produttivitร , la cui crescita รจ spesso ostacolata da pratiche gestionali carenti. Le imprese di servizi non finanziari con meno di 10 dipendenti rappresentano oltre il 40 per cento di tutti i lavoratori, il doppio di Francia e Germania. La loro specializzazione in attivitร tradizionali e le loro piccole dimensioni riducono la domanda di lavoratori qualificati, creando un circolo vizioso di bassi salari e limitate opportunitร di lavoro, che scoraggia gli investimenti in istruzione, formazione e ricerca e sviluppo. Nonostante i progressi compiuti, stimolati anche dalle politiche economiche, la spesa in ricerca e sviluppo del settore privato rimane di gran lunga inferiore a quella di Francia e Germania, cosรฌ come a quella media dei paesi avanzati.
Se le imprese italiane avessero la stessa struttura dimensionale di quelle tedesche, il prodotto per addetto nellโindustria e nei servizi di mercato sarebbe superiore di oltre il 20 per cento, superando anche il livello della Germania. Le differenze nella composizione settoriale delle attivitร produttive nei due paesi giocano un ruolo meno importante, anche se non del tutto trascurabile, nello spiegare la bassa produttivitร (se lโItalia avesse la stessa composizione industriale della Germania, la sua produttivitร del lavoro sarebbe piรน alta, a paritร di altre condizioni, di oltre il 5 per cento).
La distribuzione dimensionale delle imprese rimane, quindi, uno dei principali fattori di debolezza del nostro paese e, da questo, molti altri ne discendono (come la bassa spesa in ricerca, sviluppo e innovazione, sopra menzionata e che, insieme a una qualitร del capitale umano da innalzare con decisione, costituisce un indubbio freno alla crescita economica). Affrontare questo problema richiede, tra gli altri, di introdurre riforme volte a creare condizioni piรน favorevoli alla crescita delle imprese, tali da determinare una sostanziale riduzione degli oneri amministrativi e burocratici che ostacolano gli investimenti, un sensibile aumento della qualitร e dellโefficienza dei servizi pubblici e una consapevole diminuzione degli ostacoli alla concorrenza. Peraltro, le ricette di fondo sono note da tempo, e largamente condivise. ร certo che occorre maggiore determinazione nellโattuarle”.
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