Fabio Panetta, Governatore della Banca d’Italia, ha tenuto l’intervento di apertura su “Il futuro del welfare italiano tra equità e sviluppo” in occasione della presentazione del rapporto “Sussidiarietà e… welfare territoriale”, organizzata a Roma, presso il centro Convegni Carlo Azeglio Ciampi, dalla Fondazione Sussidiarietà. Le sue parole:
Panetta: “Solo la crescita potrà garantire pensioni e welfare”
“Il rapporto della Fondazione per la sussidiarietà che oggi viene presentato affronta un tema di cruciale importanza per la vita dei cittadini: la riforma del welfare state italiano. L‘obiettivo è trovare soluzioni adeguate per affrontare i rischi tipici delle società moderne – disoccupazione, malattia, disabilità – considerando le nuove forme che essi assumono ai nostri giorni. Tra le sfide emergenti spiccano l’obsolescenza delle competenze, accelerata dalla diffusione dell’intelligenza artificiale, la precarietà del lavoro nella gig economy, la fatica delle madri nel conciliare famiglia e carriera, le crescenti difficoltà quotidiane degli anziani, più numerosi e al tempo stesso più soli nelle nostre città.
Il sistema di welfare svolge un ruolo essenziale nel ridurre le diseguaglianze e contrastare la povertà. Se si considerano solo i proventi da lavoro e da proprietà, la distribuzione dei redditi tra le famiglie italiane risulta fortemente diseguale, con un indice di Gini superiore al 52 per cento.
Tuttavia, l’inclusione delle pensioni e degli altri trasferimenti sociali in denaro erogati dalle Amministrazioni pubbliche riduce questo valore di circa 10 punti percentuali. Se si considera anche il valore economico delle principali prestazioni in natura – come sanità, istruzione, asili nido, edilizia popolare – l’indice di Gini si abbassa ulteriormente, di 2,5 punti percentuali.
Il sistema di welfare non è solo uno strumento di equità sociale, ma anche un motore essenziale per lo sviluppo economico di un paese. In un contesto caratterizzato da informazione imperfetta e mercati finanziari incompleti, il welfare riduce l’incertezza, mettendo le persone nella condizione di poter assumere rischi, ad esempio avviando un’attività imprenditoriale innovativa. Allo stesso modo, un sistema di istruzione pubblica permette a tutti, indipendentemente dalle disponibilità economiche, di sviluppare e mettere a frutto il proprio talento. Più in generale, quando garantisce la parità nelle “opportunità di partenza”, il sistema di welfare valorizza il capitale umano della società, contribuendo così ad aumentare il potenziale di crescita dell’economia.
D’altro canto, il welfare state ha dei costi.
A livello microeconomico, può distorcere gli incentivi al lavoro e al risparmio sia direttamente, attraverso le regole che determinano i benefici, sia indirettamente, tramite la tassazione necessaria a finanziarlo.
Sul piano macroeconomico, la generosità del welfare deve necessariamente essere bilanciata con la sostenibilità dei conti pubblici. Questi due aspetti sono strettamente collegati: regole mal concepite possono disincentivare il lavoro e il risparmio, con effetti negativi sulla crescita economica – a sua volta fondamentale per garantire la sostenibilità del debito pubblico.
In Italia, la spesa pubblica per le pensioni ammonta a circa il 16 per cento del PIL, uno dei livelli più alti nell’area dell’euro. Al contrario, le risorse destinate a sanità e istruzione, pari rispettivamente al 7 e al 4 per cento del prodotto, sono inferiori alla media europea.
Questo squilibrio tra il peso delle pensioni e quello delle altre prestazioni, così come l’insufficiente offerta di servizi in natura rispetto ai trasferimenti monetari, rappresenta un problema noto. In particolare, per le famiglie fragili e nei contesti sociali più difficili vi è una diffusa esigenza di integrare l’aiuto economico con il sostegno da parte di operatori specializzati, in grado di accompagnare le persone nella quotidianità.
Le risorse di bilancio per colmare le lacune del nostro sistema di protezione sociale sono limitate, in un contesto in cui gli effetti della globalizzazione probabilmente richiederebbero un maggiore impegno perequativo. Il debito pubblico è pari al 135 per cento del PIL, e la spesa pensionistica è destinata ad aumentare nel medio periodo a causa delle sfavorevoli dinamiche demografiche. A ciò si aggiunge la necessità di destinare più risorse rispetto al passato a difesa, transizione verde e digitale.
Le scelte sulla ricomposizione della spesa pubblica tra i diversi obiettivi sono di natura politica, in quanto riflettono valori e orientamenti culturali e non possono essere effettuate esclusivamente su base tecnica.
Il Rapporto, in modo opportuno, si concentra sulle modalità per modernizzare la governance del welfare italiano, con particolare attenzione al livello territoriale. Le riforme in questo ambito non comportano necessariamente un aumento della spesa pubblica; al contrario, possono migliorare l’efficienza del sistema, generare risparmi significativi e, allo stesso tempo, garantire qualità e accessibilità dei servizi per i cittadini.
In Italia l’erogazione del welfare territoriale è affidata a una pluralità di soggetti. Per quanto riguarda i servizi sociali destinati alla prima infanzia, alla non autosufficienza, alla disabilità e alle situazioni di disagio socio-economico, i comuni sono responsabili delle funzioni amministrative e dell’erogazione delle prestazioni, mentre le regioni si occupano della programmazione e dell’orientamento degli interventi, assicurando il coordinamento con le politiche regionali sanitarie e con quelle per l’inserimento lavorativo.
Lo Stato, invece, ha il compito di definire i livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali e di garantirne il finanziamento. Tuttavia, nella pratica il welfare territoriale è sostenuto principalmente dai bilanci comunali. A livello aggregato i fondi statali, regionali e di altri enti pubblici coprono solo il 40 per cento della spesa complessiva, e sono sostanzialmente uniformi sul territorio in termini pro capite.
A causa delle differenze nella capacità fiscale e amministrativa, l’intervento dei comuni risulta minore proprio nelle aree che ne avrebbero maggiormente bisogno. In media, la spesa socio-assistenziale pro capite nelle regioni del Centro-Nord è quasi il doppio rispetto a quella del Sud (170 contro 90 euro, rispettivamente).
Tali disparità di spesa si traducono in diseguaglianze nell’accesso ai servizi. Nelle regioni meridionali i posti negli asili nido coprono appena il 7 per cento dei bambini sotto i tre anni, contro il 19 nelle altre regioni; l’assistenza domiciliare agli anziani raggiunge solo 8 ultrasessantacinquenni su 1.000, rispetto a 19 nelle altre regioni.
Questi dati mettono in luce la necessità di una riflessione approfondita sul modello istituzionale dell’offerta di servizi sociali. È fondamentale trovare un equilibrio tra due esigenze: da un lato il decentramento, che consente di rispondere in modo più preciso ai bisogni specifici dei territori e di adottare misure mirate; dall’altro lato, un solido coordinamento centrale, necessario per garantire un uso appropriato delle risorse e un livello uniforme dei servizi essenziali su tutto il territorio nazionale.
Nei prossimi anni non sarà facile bilanciare una crescente domanda di protezione sociale, soggetta a rapide e imprevedibili evoluzioni, con un’offerta inevitabilmente limitata dai vincoli di finanza pubblica. Tuttavia, questo trade-off può essere reso meno stringente agendo su due fronti.
Il primo riguarda la razionalizzazione della struttura dell’offerta, come messo in luce dal Rapporto, valorizzando la sussidiarietà sia verticale – tra i diversi livelli dello Stato – sia orizzontale, coinvolgendo accanto allo Stato anche il mercato e il terzo settore.
Il secondo passa attraverso riforme e investimenti pubblici volti ad aumentare la crescita potenziale e la produttività dell’economia.
Su questo punto mi sono soffermato più volte, ma l’occasione di oggi è particolarmente significativa perché permette di ribadire un principio essenziale: rilanciare la crescita e generare maggiori redditi attraverso un uso più produttivo del lavoro e del capitale è la condizione imprescindibile per preservare il nostro modello di welfare e promuovere il progresso civile.
Solo crescendo potremo garantire risorse adeguate a pensioni, sanità, istruzione e assistenza sociale. Nel settore sanitario, ad esempio, questo significa sostenere l’innovazione tecnologica, migliorare l’accesso alle cure, ridurre le liste d’attesa e potenziare i servizi essenziali.
Un’economia forte e produttiva è il fondamento di un welfare equo ed efficace, capace di rispondere alle esigenze delle generazioni di oggi e di creare opportunità per quelle di domani”.