Sul totale delle circa 809.990 mila case presenti a Milano, il 63,9% vale come prima casa, il 22,6% (circa 183.227) è affittato con la formula tradizionale del 4+4, il 13,5% (circa 109.404) fa riferimento a case non occupate, mentre quelle messe a reddito con finalità di affitti brevi sono solo il 2,4%, pari a 19.271 mila del totale delle abitazioni complessive.
Report AIGAB: “Solo il 2,4% delle case a Milano è messo a reddito con affitti brevi”
Aggiungendo dettagli, le case messe a reddito a Milano tramite lo strumento degli affitti brevi (l’80% delle quali è costituito da monolocali o case con una sola camera da letto quindi difficilmente utilizzabili da una famiglia per affitti a lungo termine) sono 1/10 di quelle affittate 4+4 e il 17% di quelle sfitte (di cui 16.423 di proprietà pubblica).
Inoltre, se guardiamo alla disponibilità̀, solo il 36% delle case sono stabilmente offerte online per tutto l’anno, mentre il 41% viene promosso online per meno del 30% delle notti. Attenzione: “annuncio promosso” non vuol dire “venduto”, ma vuol dire che l’annuncio è attivo con possibilità di prenotazione, come forma di arrotondamento da parte dei proprietari che spesso ci vivono e magari si allontanano dalla Città affittando la casa in occasione di eventi clou come il Salone del Mobile.
Secondo Inside Airbnb, per statuto contrario agli affitti brevi, a giugno 2024 stabilmente online con finalità di affitti brevi c’erano solo 7.466 immobili (pari allo 0,9% del totale), a conferma che la grande emergenza di cui si parla nei fatti e nei numeri va ridimensionata.
Da un’analisi fatta su circa 8mila immobili gestiti in 10 anni da associati AIGAB su Milano emerge che solo una minima parte degli immobili entrati nel circuito degli affitti brevi proviene da quello dell’affitto traduzionale 4+4. La gran parte dell’offerta proviene invece da immobili ereditati, sfitti o abitati in precedenza da proprietari e dei quali non avranno bisogno solo temporaneamente. La quota di immobili acquistati per investimento è di circa il 12% e proviene molto spesso da famiglie di capoluoghi del sud che acquistano immobili in vista del futuro universitario dei figli e lo trasformano in investimento temporaneo.
Stimiamo che i 7mila immobili che i legittimi proprietari hanno deciso di mettere a reddito stabilmente attraverso gli affitti brevi, insieme ad altri 10mila saltuariamente destinati a questo scopo, abbiano portato negli ultimi 12 mesi un contributo di circa 473milioni in termine di valore delle prenotazioni nel Comune di Milano.
L’indotto dei soli viaggiatori che dormono nelle case online è stimato in circa 1,89miliardi di euro, di cui 474milioni speso per trasporti, 570milioni in ristorazione, 167milioni in cultura, 513milioni in shopping e 56 milioni presso agenzie di viaggio.
È stimabile che circa il 74% del PIL prodotto, pari quindi a circa 1,8miliardi, sia direttamente consumato sul suolo cittadino, lasciando in Città circa 294milioni di IVA e quasi 54 milioni di cedolare secca, oltre all’imposta di soggiorno versata al Comune.
Da queste stime sono esclusi tutti i costi sostenuti dai proprietari per ristrutturare e arredare gli immobili che vengono messi a reddito, i compensi di architetti e fotografi e i salari del personale che si occupa di manutenzioni e pulizie connesse a queste attività, oltre che le imposte versate dalle tante imprese che agiscono in modo professionale nel settore, assumendo persone e ingaggiando fornitori di vario genere per sviluppare la loro attività.
Inoltre i proprietari e i property manager effettuano sullo stesso portafoglio anche contratti transitori per periodi da 1 mese a 18 mesi per un valore delle locazioni stimato in circa 94 milioni. Le motivazioni per il ricorso a questa tipologia di contratti sono le più disparate (cure mediche, trasloco, periodi di separazione tra coniugi, studio, trasferimento temporaneo in città) e consente di rendere efficiente l’utilizzo dell’immobile tra il mercato del breve e del transitorio.
I numeri raccontano che a Milano gli appartamenti stabilmente a reddito con gli affitti brevi sono molto pochi, che il boom avviene durante i grandi eventi come il Salone del Mobile, e che gli allarmismi sono infondati. Da ricordare che le case pubbliche di Regione e Comune, ammontano a 62mila di cui sono 8.500 vuote e tra l’altro non sono tutte collocate in periferia ma anche in centro e si tratta di immobili di pregio.
I numeri dimostrano anche che non corrisponde al vero che le locazioni brevi sarebbero la causa del caro-affitti: i costi degli affitti con contratto 4+4 anni crescono perché c’è un adeguamento con l’Istat. I property manager professionali sono in grado di modificare le tariffe tutti i giorni spesso abbassando i prezzi per favorire l’occupazione, quindi esprimono una dinamica contraria.
La verità è che i canoni scendono se si realizzano politiche di alloggi pubblici. La via delle limitazioni al mercato non porta da nessuna parte come dimostrano i casi di New York o Barcellona dove, oltre a violare le leggi sulla proprietà privata, gongolano gli albergatori che si vengono o verrebbero a trovare in evidente situazione di vantaggio (oltretutto i gestori professionali al pari degli hotel devono rispettare infiniti adempimenti ma non usufruiscono di contributi pubblici a fondo perduto né di cassa integrazione, a differenza di quanto avviene per la ricettività tradizionale).
Accade che una famiglia erediti un immobile e debba decidere cosa farne, venderlo o affittarlo. Visto anche l’inverno demografico che caratterizza il nostro Paese, le famiglie proprietarie optano per gli affitti brevi per integrare i propri redditi, per utilizzare queste case soggette, comunque, a fiscalità senza rischiare di perderne il possesso in caso di morosità di inquilini 4+4. Non lo fanno annebbiati da facili ricavi ma solo per tutelare la proprietà e riuscire a mantenerla senza rimetterci.
Non è vero, infatti, che gli affitti brevi siano la gallina dalle uova d’oro: sul lordo incassato ciò che rimane al proprietario al netto delle commissioni dei portali, dei costi di pulizia, della cedolare secca è poco meno della metà, quindi stiamo parlando veramente di uno strumento di integrazione del reddito delle famiglie.